Trama

Si yo fuera Maradona viviría como él … mil cohetes … mil amigos … y lo que venga a mil por cien”. Così canta Manu Chao nel documentario che Emir Kusturica dedica al Pibe de oro. Due somme di genio e sregolatezza che si incontrano per un’operazione annunciata sin dal 2005.
Da un lato il regista di Underground da allora alla ricerca di un nuovo capolavoro che sembra essere fagocitato da un eccesso di clowneria balcanica. Dall’altro il campione che tutti conoscono e l’uomo che si è perduto fisicamente in mille dissipazioni che lo hanno condotto in più di un’occasione a ricoveri ospedalieri di urgenza.
I due si stimano reciprocamente e il film lo dimostra. Kusturica segue il suo protagonista da Buenos Aires, dove festeggia il compleanno della figlia Dalma, a Cuba (Maradona è un convinto sostenitore del regime castrista). In questo percorso non possono mancare Napoli (città che lo ha amato e ancora lo ama) e la kusturiciana Belgrado.
Il regista dichiara: “Sono un idealista. Per me Maradona sarà sempre più grande dell’effetto che le droghe hanno avuto su di lui. È un artista. Essere un artista significa andare al di là dei propri limiti. Questo non ha nulla a che vedere con questa società che ti mette su un piedistallo per poterti poi distruggere e seppellirti”.
È forse da queste frasi che si può comprendere il motivo di un’amicizia in cui l’uno in qualche misura si riconosce nell’altro trasformando così il documentario in una reciproca attestazione di rispetto e ammirazione.

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